FATE PRESTO

Giorno 23 novembre 1980, ore 19.34 circa la terra tremò.

 

 Avevo solo 1 anno e non ho ricordi definiti di quei momenti,  ma tutte le volte che in famiglia si parla di quell’evento, riesco a riviverlo tramite le loro parole ed i loro occhi:

 

“Una domenica in famiglia, di quelle napoletane in cui gli uomini giocano a carte e litigano per un asso di bastoni e il posacenere pieno di sigarette, le donne si perdono nelle chiacchiere dei nuovi acquisti, le lenzuola sbiancate con una nuova candeggina, la vicina in attesa di un bebè per opera di chissà quale mascalzone ed il nipote di Franco, quello giovane, che ha preso il posto fisso in banca.

 

Tutto qua, la domenica era fatta per stare insieme, noi stavamo là seduti, ma mai avremmo immaginato quello che sarebbe accaduto.

Tu dormivi sul divano, ad un certo punto la bambola amazzone sul pianoforte, con il cappello nero con il nastro fuxia, i capelli biondi, gli occhi sgranati evidenziati da un finto mascara, quella che ti aveva regalato zia Marga, iniziò a muoversi, dondolando avanti e indietro, senza mai cadere. Dapprima quasi nessuno ci fece caso, poi le persiane della cucina cominciarono a strusciare sulla finestra, uno strano vento caldo invase la casa… le pareti iniziarono ad oscillare… un grido partito forse dal nonno Giuseppe :” O’ Terremoto”!

 

Iniziò un via vai, chi correva di qua chi di là, senza avere ben chiaro che cosa stesse succedendo.

Michela scappò di casa con le tue cugine Sonia e Simona, allora ti avvolsi in un plaid e mi ritrovai giù insieme agli altri, non ricordo neanche di aver fatto le scale.

 Nonna Raffa, non si trovava, era rimasta in camera alla ricerca delle scarpe:

“ A No ata scennr è pericolos” ( Nonna dovete scendere è pericoloso)

“ Uè e che scendo con le ciabatte mi devo mettere le scarpe, pare brutto in miezz a vi a ccussì”

“ Ma che Vi importa fate presto, fate presto ia’”

Così ci ritrovammo tutti per strada, in mezzo ad altri che spaventati dalla terra tremante cercavano rifugio lontano da muri e pavimenti ondeggianti.

Furono i 90 secondi forse 100 piu’ lunghi di sempre.

 

La sera sembrò che la situazione fosse un po’ piu’ tranquilla, allora per smorzare un po’ la tensione decidemmo di cucinare uno spaghetto aglio, olio e peperoncino veloce veloce, in giardino, faceva freddo , ma che dovevamo fare meglio sopportare il freddo che avere un lampadario in testa.

 

Dopo qualche giorno apprendemmo dai giornali che i morti erano stati tanti e che molte case erano state distrutte. Povera gente.

Noi dormimmo un paio di giorni in macchina, poi rientrammo in casa che per fortuna era rimasta intatta, ospitammo così anche gli zii che invece avevano avuto dei problemi.

E questo è.

Noi ci siamo ripresi, ma ci sta ancora la povera gente che dopo quasi 36 anni ancora non ha casa e vive in containers o case mobili. Eh piccire’ mica ci stava quello di facebuk che regalava soldi. Il presidente Pertini cercò di smuovere qualcosa, ma sul iss che puteva fa ( ma solo lui cosa poteva fare)  Invec stu signor sta facend n’opera e bene, e sono felice”.(invece questo signore sta facendo un’opera buona e sono felice).

Dopo il terremoto dell’Aquila, speravo che non ci fossero piu’ eventi del genere invece, purtroppo …di nuovo. Nuj stamm ca e dicimm na preghier ( noi siamo qua e diciamo una preghiera).

Queste le parole di chi ha vissuto un evento tragico che ha sconvolto la vita di molte persone. Dopo 36 anni purtroppo la natura ancora si ribella colpendo al cuore l’Italia, prima l’Aquila e ora Amatrice e gli altri paesi.

Un giorno di 36 anni fa Pertini urlò “ Fate presto”, chiedendo che i soccorsi si attivassero e che le vite delle persone colpite potessero tornare alla normalità quanto prima, seppur con meno voce vi chiedo “ Facciamo presto e non lasciamoli da soli, che il sole possa riprendere a sorridere su quelle terre”.

 

Raf
Don’t Forget to smile

 

 

Il Malocchio

 

Maria,
la Signora Maria così si chiamava.

 

Il villaggio, ovvero le così dette “palazzine americane”, costruite nel dopoguerra su stile americano, erano abitate da personaggi rari e surreali, me inclusa.
I miei occhi osservavano attentamente.
C’era La Comara T., non so perché la chiamassero così, ma so che lavorava in un posto grazie al quale sapeva tutto di tutti e tutti le chiedevano questo o quel favore.
C’era Josuè, uomo buono e di cuore, la sua famiglia numerosa e molto cattolica, sua moglie era una donna molto gentile, mi accolse amorevolmente quando chiesi se fosse possibile farle un’intervista per la scuola, credo fosse proprio sull’importanza della famiglia o cose del genere: ” Gesu’ è nostro fratello, nostro padre il nostro miglior amico:” mi disse.
C’era Gennariell, uomo magro magro, carnagione scura, viso segnato dal dolore e dalla sofferenza, di lui si raccontavano cose non adatte alle orecchie dei bambini, ma io lo vedevo solo come un uomo triste.
C’era  Don Ciro con la Signora Vittoria, che coppia. Erano i miei vicini. Lei donna prosperosa, abbondante, il viso con le gote rosa e sempre luminoso, molto napoletana, lui il mio bidello alle scuole elementari. Mi aiutava ad attraversare la strada, aveva sempre pronto un sorriso al suono della campanella e mi riaccompagnava a casa quando, dopo aver vomitato anche l’anima, a causa dell’influenza, non riuscivo a reggermi in piedi.
Poi, dietro i vetri di una bianca finestra c’era lei, la signora Maria.

 

La vedevo seduta a quella finestra la maggior parte del tempo, o meglio, tutte le volte che andavo e rientravo da scuola o quando nel pomeriggio uscivo. Era sempre lì. Dalla sua finestra aveva tutto sotto controllo, non c’era estraneo che potesse entrare senza che passasse sotto il suo vigile sguardo.
In estate la vedevo seduta sul portico su una di quelle sedioline di legno con la seduta in paglia, e stava lì, con i suoi capelli bianchi, un vestito a fantasia floreale le sue ciabatte aperte sulle dita, tra le sue ortensie e piante aromatiche ed i suoi gatti, tanti gatti. Proprio per questo ho sempre pensato bene di lei, una persona che ama gli animali come li amava lei, doveva essere una persona buona.

 

Da bambina ero spesso malata a causa delle tonsille.
Mia nonna un giorno decise che non potevano essere solo le tonsille infiammate a farmi ammalare:
“Sta creatur ten l’uocchj n’ guoll, ten o mal uocch”. (questa bimba ha gli occhi addosso ha il malocchio).
Il malocchio a Napoli, è una cosa seria e molte persone soprattutto anziane la considerano come una vera e propria malattia e come tale va curata.
Secondo la leggenda napoletana il Malocchio deriva semplicemente dall’invidia e dalla gelosia, dalle maldicenze di altre persone, che causano energia negativa che si trasforma poi in mal di testa, insonnia etc.
Mia nonna aveva un rimedio, sapeva come rimuovere il malocchio, o meglio una persona che potesse effettuare il rito, eh già era un vero e proprio rito.

 

Un pomeriggio ripresa dal mio stato influenzale, mia nonna disse a me e a mia sorella che avremmo dovuto accompagnarla a fare una cosa.
Mia sorella ed io non obiettammo in merito.
Lasciata casa facemmo 57 passi circa e la nonna si fermò al cancello della Signora Maria, che avevo già scorto essere nella sua posizione di “guardia”, dietro la finestra.
Ci accolse in casa con il sorriso.
Era la prima volta che entravo in quella casa, non ero perfettamente a mio agio. Attraversata la porta d’ingresso c’era un piccolo disimpegno, a sinistra c’era la camera da letto e a destra dopo aver attraversato un archetto si entrava nel soggiorno. L’ambiente era molto in ombra, una luce fioca illuminava l’arredamento di legno scuro. Numerosi centrini, di quelli fatti ad uncinetto sparsi qua e là sulla tavola rotonda. Nell’aria odore di cera, una candela posta davanti a dei santini bruciava. Il mio sguardo girava in tondo, foto di bambini, vecchie riviste appoggiate in un angolo.

 

“Ja assittatv o facc o cafe’? ( Sedetevi , faccio il caffè)
” No Marì grazie”.
“Allora facimm stu fatt” ( allora facciamo questa cosa)..

 Mentre le due signore chiacchieravano, mia sorella ed io eravamo in attesa di capire che cosa mai facessimo a casa della Signora Maria.

 

“Mo torn”. (ora torno)

 

La signora Maria si allontanò per rientrare con un piatto all’interno del quale c’era dell’acqua ed una tazzina con all’interno dell’olio.

 

“Viè piccire’ assittet ca” (vieni piccola siediti qua)

 

Senza nessun tipo di obiezione seguì le indicazioni della Signora Maria, non con serenità al dire il vero, ma c’era mia nonna, per cui qualsiasi cosa fosse successa, avevo un parente accanto a me, pensai.
Silenzio e la signora Maria prese il piatto con l’acqua e lo portò sul mio capo, senza appoggiarlo. Sentivo bisbigliare qualcosa, ma non riuscivo a capire che cosa stesse dicendo, intanto incrociavo lo sguardo di mia sorella, che rideva cercando di non farsi vedere. Era proprio surreale mi sentivo a casa di una strega che di li’ a poco mi avrebbe trasformata in una maialino rosa,(già all’epoca guardavo molti film).
Dopo qualche minuto Maria portò il mignolo all’interno della tazzina dell’olio, per raccoglierne qualche goccia da far scivolare nel piatto, qualche istante e disse:

 

“Ah sti ftient, eccoli eccoli!!” ( ah questi cattivi, eccoli, eccoli).

Mia sorella ed io ci trattenemmo dal ridere, ma l’esclamazione della nonna ci aiutò a capire.

 

“Ten l’uocchi n guoll, eh vist! ( ha il malocchio , hai visto!).

 

La signora Maria ci mostrò il piatto all’interno del quale aveva fatto cadere le goccioline di olio che nell’acqua avevano formato tanti piccoli cerchietti ed in gruppo si spostavano da una parte all’altra della superfice. Maria ci spiegò che quelli erano occhi invidiosi  e parole cattive delle persone attorno a me. Non ero molto convinta di quello che stavo vedendo, ma in ogni caso, lo accettai come vero.
Quel rito durò per qualche minuto successivo, poi Maria sputò nel piatto e andò a buttare tutto nel water. Tornando si fermò a dire una preghiera.
Maria riprese il rito con mia sorella, con le stessa sequenza, concludendo poi nuovamente con una preghiera.

“Mi raccomando, mettete o santin n’piett,”. ( Mi raccomando ora mettete un santo sul petto).

Mia nonna ringraziò, salutammo ed uscimmo accompagnate dai gatti.
Ritornammo dalla Signora Maria altre due volte, la leggenda del malocchio vuole che il rito si effettui per tre volte consecutive, per eliminare del tutto le energie negative.
Dopo quella esperienza ricordo che mi ammalai ancora, fino a quando il mio medico non decise di asportare le tonsille, l’unica causa della mia salute cagionevole.

 

Ora incuriosita da quei ricordi, ho provato a cercare quali fossero esattamente le parole pronunciate dalla signora Maria durante il rito, ma purtroppo non ci sono notizie in merito.
Si narra che la persona che pratica il rito contro il malocchio abbia una sensibilità particolare e che quello sia un rito che venga tramandato di generazione in generazione e solo in punto di morte viene trasmessa l’eredità inclusa di “parole magiche”.
Sapete non mi importa sapere se il malocchio esista oppure no, mi piace pensare di aver preso parte a qualcosa di inspiegabilmente speciale e magico.

 

 

Raf

Dont’ forget to smile