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Il Generale

“Lei è l’emblema della donna moderna…”
Ecco cosa mi ha detto il Generale quella mattina…

Le mie giornate iniziano apparentemente allo stesso modo, ma non quella mattina.
No! Quella mattina profumava di buono.
6.45 Mornig Flower, così la sveglia del mio fantastico Samsung S6 mi comunica che è ora di alzarmi.
Dopo aver stiracchiato bene la schiena, lotto con il cuscino per convincerlo a lasciare la mia faccia. La maggior parte delle volte perdo.
Radio, colazione, doccia, i tre riti (ci sarebbe anche la pipì, ma tralascio) per iniziare alla grande la giornata.
Preparato l’occorrente per l’ufficio ed il pranzo (rigorosamente scongelato la sera prima e preparato dalle sapienti mani di mammà), mi catapulto fuori della porta, con una mano chiudo a chiave, con l’altra pigio il pulsante dell’ascensore che non tarda ad arrivare, un tonfo annuncia la sua presenza al piano.
Per ingannare l’attesa durante il minuto di discesa, mi guardo allo specchio cercando di individuare chi sia la tizia riflessa, in fondo è anche per questo che hanno deciso di mettere degli specchi all’interno degli ascensori, no?
Il narcisismo sovrasta la claustrofobia, così tutto dura il tempo di un respiro, e..tonfo.

Il mio primo buongiorno va al portiere Sergio, che di buon mattino è nelle sue faccende affaccendato. Quella mattina però non era solo, a fargli compagnia c’era il Generale.

Il Generale è un anziano signore, ossatura robusta, pancetta in evidenza, capello brizzolato, uomo del nord, fiero ed orgoglioso di aver dedicato la sua vita all’esercito italiano, la sua andatura e il suo mento alto, il suo modo di gesticolare, ne sono la prova.
Trasferito a Roma per amore è ormai in pensione.
Il Generale cerca di mantenersi sempre in attività soprattutto durante le riunioni di condominio, in cui riesce a zittire tutti, anche nei momenti di caos più totale. Lui è Il Generale tutti sull’attenti!

Prima di allontanarmi lo saluto cordialmente e mi accingo a liberare il mio SH dalla catena, dopo un po’ una voce:
“Signorina!”, seguì una sonora risata, “che gioia lei è l’emblema della donna moderna”.
Fui spiazzata da quelle parole, ad essere sincera, proprio emblema non mi sentivo, ma il Generale mi incuriosì:
“Generale, grazie ma non credo…”, vi confesso, non sapevo cosa volesse dirmi, ma l’ho adorato, mi aveva chiamata “Signorina”.
“Sa signorina, io la osservo, vedo che è in pieno possesso del suo mezzo di locomozione” (che suonava, con il suo accento, “mezo di locomossione”), continuò:
” Ai miei tempi era impossibile vedere una donna guidare o stare a cavalcioni su di una vespetta, sempre entrambe le gambe su un lato… altri tempi, altri tempi, eh… lo si vede da come guida che è affar suo quella roba lì.”
Avreste dovuto vedere il viso del Generale mentre mi diceva queste cose.
I suoi occhi persi nel vuoto stavano attraversando a ritroso il tempo passato, il ricordo di un tempo vissuto ormai lontano. Poi all’improvviso, come il pesce sguizza per catturare la sua preda, il Generale puntò quegli occhi su di me e disse: “Signorina Grazie”.
“Generale, di cosa?”
“Il suo sorriso”.
Accipicchia forse avevo qualcosa nei denti, forse la marmellata di more…
Ecco, sentivo la mia pelle accaldarsi, sentivo le braccia e poi il collo, il viso colorarsi del colore del melograno maturo, imbarazzatissima, non capivo.
“Signorina, il suo sorriso mi regala gioia, mi illumina la giornata, è un soffio di vento fresco, un raggio di sole raggiunge il mio cuore tutte le volte che la vedo sorridere”.
Silenzio.
Il respiro titubante.
Bocca impastata, nessuna parola, nessun suono.
Ero un groviglio di emozioni, ero lusingata, sbalordita…
Un Uomo così apparentemente duro, impostato, dedito a dare ordini, si era soffermato su di un unico particolare, aveva dato attenzione all’impensabile, un sorriso.
Tutte le emozioni stavano prendendo una strada comune, un unico canale.
Si concentrarono in unica goccia piena di gioia, quella lacrima, che non tardò a solcare il mio viso.
…una sintesi perfetta di parole, che sarebbero state inutili e non sufficienti.
Il Generale notò anche quella lacrima e mi disse: “vede avevo ragione lei è proprio un raggio di sole”.
Quella mattina profumava di buono.
Dont’ forget to smile
Raf

 

LEI…ricordi passati di un vivo presente.

Tutte le domeniche anche le più piovose, il sorriso del sole attraversava la finestra, illuminando quell’ angolo della stanza.
Una sedia di legno, con la seduta in paglia tutta intrecciata, rendeva quell’angolo speciale.
Era diventato un rito, il mio rito preferito, la condivisione di attimi solo nostri.In lontananza note napoletane entravano nelle mie orecchie come zanzare assetate di sangue, il mio vicino innamorato dei neomelodici, aveva l’usanza di cantare passando da una nota stonata all’altra…..
Era domenica.
La domenica era sempre una festa di colori e di cibo, tutti in movimento in casa, come piccole formichine indaffarate ognuna con il proprio compito.
Il richiamo della signora VuèVuè, ti regalava il sorriso del giorno.
(Nunziatina, in arte la signora VuèVuè perché passava tutte le domeniche annunciando il suo arrivo al grido: “VuèVuè quant’ cos’ belle VuèVuè”, cercando di vendere qualche vestito del suo fagotto).
Ma La regina suprema era Lei.
La sua chioma grigia, le sue forme morbide.
Le sue gambe reggevano il peso della storia di nove nuove vite. Le sue mani, che in passato avevano cucito, ora affaticate dal tempo, compivano un rituale conosciuto ed esperto.

 

La cucchiarella di legno prima toccava il fondo e poi il bordo della pentola che accoglieva il pomodoro fresco.
Mentre Lei mescolava con cura, le polpette di carne appoggiate nella pirofila bianca attendevano di essere immerse nella padella, dove l’olio iniziava a fare sentire la sua voce.

Tutto avveniva con estrema precisione, non studiata.
Il pane acquistato fresco dal signor Pio, veniva tirato fuori dal sacchetto e tagliato a fette uguali, il coltello come un’onda del mare, le briciole… le sue gocce.
Tutto sembrava scandito da un tempo sconosciuto, da una musica mai scritta, ma udibile in quegli attimi.
Ed era così che mi svegliavo, inebriata dal profumo del basilico e amore.
La mia colazione? “cuzzetiello” e sugo (la parte iniziale o finale del pane inzuppato nel sugo).
Una droga pura.
Un sapore che arrivava in bocca, diffondendosi sul palato, alla gola e giu’… permanente. Impossibile fermarsi, se non con un sonoro: “E bast mo, jà vatt a lava’ a facc!” (basta ora vai a lavarti il viso).
Ma la domenica pensare di lavarsi… proprio no.
La mia domenica era fatta per stare in pigiama, andare scalza in giro per casa, aspettando che mia madre mi dicesse urlando : “Raffaaa metti le ciabatteeee” non l’ho mai ascoltata.
Era sempre tutto pronto, troppo presto.

Lei in attesa del pranzo, si accomodava sulla sediolina di legno, nell’angolo della stanza, vicino alla finestra, dall’altra parte appeso al muro c’era uno specchio double face, su di un lato rifletteva il tuo viso umano, dall’altra parte un mostro con un attacco di allergia.
L’attesa andava presa di petto.
Mentre Lei iniziava a tirarsi il viso deformandolo, la sua faccia acquisiva espressioni buffe.
Io: “Che fai?”
Lei: “M’ aggia livà sti rui pil.”
Io: “ah la barbetta.”
Lei: “E ch vuo’ fa.”
Io: “Posso fare io?”
Lei: “E tiè!”
A cavalcioni su di lei, con gli occhi ancora pieni di granelli di lacrime lasciati da Morfeo, mentre la mano destra reggeva la pinzetta, la sinistra era intenta a stendere la pelle con il pollice e l’indice.
Ero pronta!
Come un chirurgo alla sua prima operazione importante, ero lenta ed accurata e al primo pelo estirpato dal bulbo dissi in cerca di approvazione:
“Guarda!”
“Brav a nonn”.
L’operazione continuò per i 10 minuti successivi tra risate e i suoi mugolii doloranti.
Il tempo si fermava.
Gli attimi erano diventati infiniti, la nostra complicità, le nostre risate… Tu.
Tutte le domeniche il rito si ripeteva, ne ricordo ogni istante.
Qualcuno ha detto: “Le persone muoiono solo se il tuo cuore le dimentica.”
Questo mio secondo post lo dedico a Lei.
Ha riempito di sole la mia infanzia.
Mi ha regalato sorrisi che ho imparato a donare.

Don’t forget to smile
Raf

Mettersi in gioco….

Una bellissima immagine di me, di tanto in tanto appare nella mia mente come un flashback.
Una ragazzina di circa 10 anni, seduta con la schiena ben dritta al tavolo del soggiorno intenta a fare qualcosa di grandioso, di straordinario…scrivere un libro.

L’eccitazione era talmente tanta che nella preparazione di ciò che mi serviva, fui meticolosa come un giapponese durante il rito del thè… ogni oggetto, ogni movimento dedito ad un unico scopo.

Mio zio possedeva, in realtà ancora oggi, una macchina da scrivere Olivetti, meravigliosa, tenuta come un gioiello, di quelli più cari e più preziosi, non solo per il valore economico, ma soprattutto affettivo.
Con un po’ di timore decisi di chiederla in prestito.
Avevo tra le mani il mio destino, pensavo…
Appoggiai la macchina sul tavolo del soggiorno, con cura la spostai proprio sul bordo in modo che potessi muovere liberamente le mani e le braccia, tolsi la custodia, una sorta di copertina che proteggeva la macchina dalla polvere e da tutto ciò che avrebbe potuto danneggiarla, la sistemai su un angolo del tavolo.
Avevo bisogno della carta.
Strappai un foglio da un quaderno di scuola, e lo posi dal lato lungo, dopo aver alzato l’asticella del blocco sul rullo, inserii il foglio e riposi l’asticella al suo posto.
Il cuore scandiva il tempo delle mie azioni.
Non avevo mai usato una macchina per scrivere, a malapena sapevo usare la penna, per cui decisi che era necessario fare una prova che mi permettesse di capire la funzionalità.
Iniziai a battere con un solo dito i tasti a casaccio, con la velocità di un bradipo in letargo, controllando dopo ogni pressione, se la lettera venisse stampata sulla carta.
Dopo svariate prove, avevo appreso che potevo andare a capo spostando il rullo,
lasciare lo spazio,
scrivere in maiuscolo,
e all’occorrenza cambiare colore dal nero al rosso (decisi che avrei usato il rosso per il numero ed i titoli dei capitoli).
Era tempo di dare vita a quelli che erano stati, fino a quel momento solo pensieri.
Mi serviva della carta pulita, allora attinsi al quadernone, quello usato per le ricerche “in bella copia”, replicai l’inserimento nel rullo..
e via…
Un respiro mi inoltrò in un mondo tutto mio, i tasti iniziarono a suonare una melodia simile ad un lento “tip tap”.

“Ero soltanto una sorta di pesciolino trasparente, diretto chissà dove, spinta in un viaggio che non avevo deciso, ma che mi incuriosiva, volevo vedere!!
Non ero sola altri accompagnavano il mio viaggio.
Una corsa affannata per raggiungere l’obiettivo, una corsa verso l’ignoto, verso qualcosa che non conoscevo, ma desideravo conoscere.
Molti di coloro che mi accompagnavano non sostenevano il ritmo della corsa e restavano indietro…
non avrei mollato come loro, volevo vedere!!
Mi sentii inebriata di energia, come un soffio di vento che gonfia una vela e spinge la barca verso il mare aperto.
Mi ritrovai li… davanti alla mia isola….
la luce ed il calore erano come calamita per me;
mi insinuai in una fessura attraverso la quale neanche uno spillo sarebbe potuto passare…
e li…
i miei occhi si socchiusero, mi lasciai coccolare da quel calore, dal tepore,
ero protetta, al sicuro avevo raggiunto il mio obiettivo.
Ora avrei potuto vedere!!”

I tasti continuavano a ticchettare, ed il rullo che rientrava in posizione iniziale, tutte le volte emetteva uno strano suono, ancora vivo nella mia memoria.
Ma quel momento intimo, ipnotizzata da quella strana musica, fu interrotto da una voce poco soave:
“Raffa a pranzo sbrigati chiudi tutto”…. mia madre.
La nonna aveva preparato i rigatoni al sugo, quel sugo magico, insuperabile che diffonde il suo profumo meraviglioso fino giu’ nel cortile, quel profumo che mi è entrato nel sangue.

Questo quel che ricordo.
Non ho piu’ continuato a scrivere quel libro, probabilmente distolta da altro e dalla giovane età, ma ho continuato a scrivere il “Mio Diario”, quello che mi ha accompagnato in tutti gli anni scolastici e oltre, la mia amata Smemoranda.
La voglia ed il piacere di scrivere non li ho mai persi,
ed eccomi qua, forse non per riprendere a scrivere quel libro, ma per raccontarvi di me e condividere con voi i miei pensieri, le miei giornate, la mia vita.
Spezzare la quotidianità e magari perché no, riuscire a regalarvi un sorriso….

Don’t forget to smile
Raf