Il monte

Il profumo dell’erba, il legno rugoso al tatto, i primi raggi del sole trovavano spazio tra i rami.
Il contatto con la natura, mi rigenera, mi tempra l’anima…respiro lentamente e profondamente…

Eravamo soliti partire all’alba per evitare il traffico dei giorni festivi. Mia sorella ed io, senza alcun attimo di esitazione, giù dal letto in un batter di ciglia. L’adrenalina per una nuova avventura ci regalava nuova energia ed entusiasmo. Caricata l’auto come se dovessimo trasferirci all’estero, (mamma reggeva la borsa frigo, tra le gambe della nonna era sistemato il contenitore azzurro dell’acqua, uno di quelli a mo’ di fontana portatile, negli spazi liberi carbonella, borse con la carne e pizzette di pasta che riempivano la macchina di un profumo meraviglioso, materiale in plastica, tavolino, sedie, plaid ed il pallone che non mancava mai), eravamo pronti.
Tutti in macchina alle 7 del mattino. La vecchia Ford Sierra grigio metallizzato, era la compagna dei nostri viaggi. Gli altri ci attendevano per strada, un ” Buongiorno, Pronti”, si dava gas e via,  partiti…
L’andamento era stabile, in macchina qualche chiacchiera, in sottofondo la radio e dolcemente mi accasciavo sulla spalla della nonna per un breve pisolino. La macchina mi cullava e non sapevo resistere…
Dai finestrini l’aria entrava fresca, frizzante, era un piacere respirarla.
Il clacson interruppe il mio dolce dormire e fu li’ che lo vidi.
Maestoso, imponente, autoritario.

Monte Faito.
Si riusciva ad accedere alla montagna attraverso un percorso all’interno dei boschi, pieno di rientranze e curve. Man mano che si saliva, il paesaggio che si presentava ai miei occhi era fantastico, il golfo in tutto il suo splendore.
L’aria totalmente diversa da quella della città, sembrava che ogni particella del corpo si rinvigorisse ad ogni respiro.
Il percorso durava un paio d’ore e finalmente la vetta.
Un piazzale enorme, all’interno del quale c’era un punto di ristoro, ci accolse, eravamo soliti sostare per esigenze fisiologiche e per dare modo ai guidatori di sgranchirsi un po’.
Il punto di ristoro aveva un terrazzo esterno, dal quale si riusciva a vedere la Croce, il panorama era mozzafiato.
Il Monte dominava totalmente sulla città abbracciando il mare.
La sosta terminò in breve tempo,
Dovevamo trovare il luogo adatto per trascorrere la giornata.
Mentre la maggior parte delle persone era solita scegliere degli spazi ampi pianeggianti, facili da occupare, noi ci divertivamo ad andare all’avanscoperta, di posti nascosti e che non fossero affollati.
Papi di solito aveva il compito di esplorare e trovare il posto adatto, mentre noi attendevamo in macchina. Qualche minuto e sbucava in un angolino su di una collinetta dicendo : ” qui si può stare”.
Da quel momento in poi iniziava una sorta di catena per scaricare tutte le cose che avevamo in macchina. Un po’ come fanno le formiche, tutte in fila in un senso e nell’altro, fino a quando non si gridava : ” Tutto finito, nonna puoi scendere”.
La nonna non avrebbe potuto esserci d’aiuto, per cui aveva atteso che terminassimo di scaricare per poterci raggiungere. L’accesso alla nostra postazione però, non era così agevole. Dopo aver superato una piccola stradina in salita, una parte pianeggiante, bisognava percorrere una salita un pò più ripida, fu un’impresa ardua. Mi posizionai dietro la nonna, la sua corporatura non era esile, mia sorella e mia cugina le tenevano le mani per tirarla davanti, il terreno era umido e la foglie secche rendevano la salita scivolosa.
Spingevo la nonna dal bacino, le ragazze davanti tiravano, la nonna era ferma in bilico, non andava né avanti né indietro, non so perchè ma iniziò a ridere e noi con lei. Rimanemmo sulla salita per 5 minuti, non riuscivamo più a muoverci. Ridevamo talmente tanto che  non avevamo più la forza per togliere la nonna da quella posizione. Papi si accorse della nostra difficoltà e venne in nostro soccorso.
Iniziò il nostro picnic.
Ognuno aveva un compito, le donne preparavano il pranzo ( in realtà era quasi sempre tutto pronto dalle lasagne di zia Marga, ai carciofi arrostiti di zia Dina e varie ed eventuali), gli uomini preparavano la brace.
Noi ragazzi? Vivevamo nella spensieratezza di quel giorno.
Ci avventuravamo tra le steppe alte, alla ricerca di qualche luogo segreto, dove poter inventare storie e viverle come se fossero vere. Andavamo alla ricerca delle more, che amavamo gustare al momento e di castagne, anche se il risultato era sempre scarso, visto la stagione non consona. Adoravo abbracciare gli alberi, immensi, ne ero affascinata. Mi perdevo nel seguire con il dito, all’interno delle piccole fessure della corteccia, animaletti striscianti, che con fare lento si dirigevano verso l’alto, ero curiosa di sapere dove fossero diretti. Mi perdevo in  mille pensieri, volgendo lo sguardo su’, tra gli intersecati rami e le foglie, che creavano particolari giochi con il sole, spostate da una leggera brezza.
Tutto meravigliosamente perfetto.
Adoravo togliere le scarpe, e tenere i piedi nudi sull’erba, provavo un senso di soddisfazione, di libertà.
Mentre sostavo sul plaid, in attesa del pranzo, osservavo ogni movimento, ogni espressione delle persone che amavo.
I loro visi gioiosi, i loro occhi sereni. Ogni piccola ruga sui loro volti, evidenziava i loro sorrisi
Tutto acquistava un sapore diverso, tutto ” sapeva di buono”…
La giornata trascorreva con ritmi lenti, nessuno aveva fretta.
Il sole ci sorrideva cambiando la sua posizione di ora in ora…La quiete, la bellezza in quegli attimi.
Una lunga giornata, meravigliosamente intensa.
Sulla strada del ritorno, in macchina mi addormentai,  felicemente stremata…

Aprì gli occhi ed il mio sguardo finì tra i rami intersecati e le foglie mosse dal vento, il sole giocava con me…
i piedi nudi, l’erba ed un sorriso…

Raf
Dont’ forget to smile

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