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Funambole – Storie alla ricerca di equilibrio

Ci sono giorni in cui tutto sembra andare come deve andare, altri sembra che tutto vada storto ma indossi il tuo sorriso migliore e tutto scorre… altri ancora ti destabilizzano, interrompono un equilibrio che fino a quel momento credevi fosse solido…ti rendi conto che non hai più nulla sotto controllo e sembra che la terra ti stia tremando sotto i piedi. Ma poi ti fermi analizzi, e tutto ritorna più o meno come prima, o almeno è quello che credi…

Ed è quello che è successo ad Ale.

Ale è una mia amica, una donna adulta ormai. La sua vita ha avuto degli alti e bassi, come tutti del resto ed è sempre stata brava a non mollare, guardare avanti ed andare dritta per la sua strada.
E’ una donna molto forte, ha sempre dovuto lottare per ottenere ciò che le spettava, ed io l’ammiro molto per questo. Lavora presso una grossa azienda in qualità di Manager, esattamente non ho mai capito di cosa si occupi, ha tentato più volte di spiegarmelo, ma ho sempre dirottato dicendo “Ah wow che fico, deve essere interessante”, ma i termini tecnici, e le espressioni inglesi che usa… mi mettono in difficoltà, quindi ne esco pulita facendo la vaga e continuo ad ammirarla, nei suoi tailleur firmati ed i tacchi a spillo, che mi racconta indossare solo quando arriva in ufficio. Si sposta in moto, una Suzuki Gsr 600, grigio metallizzata. Questo la rende semplicemente unica.
Ale ed io ci conosciamo da tempo e non c’è nulla che non sappia di me ed io di lei. Spesso, quando non abbiamo la possibilità di vederci, a causa di impegni reciproci, restiamo al telefono a chiacchierare per ore, di solito la notte…

Questo è quello che fa diventare unica un’amicizia in fondo…no?

Quella sera però qualcosa di strano avvenne…
Credo fosse marzo. Ricordo esattamente che ero alle prese con l’impaginazione del mio racconto, quando la spia del mio samsung si illumina ad intermittenza… La spia mi avvisava di un messaggio, ero certa che fosse Ale, infatti non mi sbagliai.
Uno screenshoot (è un termine che si usa per indicare la foto dello schermo del telefono), di un messaggio che la stessa Ale aveva ricevuto.
“O porca vacca” pensai.
Salvai la mia pagina di lavoro al computer e le inviai un messaggio:

“Come stai?”.
La risposta non tardò ad arrivare con “un’emoticon” di una faccina spaventata ed un’altra incazzata.
“Posso chiamarti?”.
“No, sono ad una cena di lavoro e posso solo scrivere, sai …guardo email di lavoro”.
“Ok, bene, cosa pensi di fare?”.
“Vorrei urlare, come se avessi l’ugola di Pavarotti”
Quella esclamazione mi fece sorridere, sapevo esattamente cosa intendesse dire.
“Certo, i morti talvolta resuscitano, ma tu non fare cazzate?”.
“Aspetta, siamo alla seconda portata, a breve mi allontano per andare in toilette e ti chiamo”
“Ok matta, respira”.

Mi soffermai sul quel messaggio:

“Io e Gioia ci siamo lasciati, sentivo il bisogno di dirlo a qualcuno, scusami. ho scelto un’amica che c’era molto prima di lei… e che mi manca.”

Ripresi a lavorare, e iniziai a pensare a cosa ci fosse dietro a quel messaggio….

 

To be continued

 

Raf

 Don’t forget to smile

 

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Nuovo Anno

Il nuovo anno, una nuova agenda, una nuova penna.

Con la canzone di Lucio Dalla “l’anno che verrà”, che per me è ormai inno ufficiale per accogliere i nuovi 365 giorni, ecco gli oggetti che mi ricordano che il nuovo anno è arrivato. Oggetti normali a vedersi, utensili da lavoro (è così che mi piace definirli), immobili, senza vita…

Almeno era quello che credevo…  ma l’apparenza inganna. Quei due oggetti dediti a segnare impegni, orari, incassi, budget, numeri di telefono, a scaricare la tensione colorando le pagine immacolate con kg e kg di inchiostro, allo scoccare delle ore 00.00 del 31/12  si trasformano, si animano … prendono vita…

Come è possibile?

Ebbene quei piccoli oggetti  diventano una costante della mia giornata,  un’ossessione, ovunque volge il mio sguardo, sono lì a fissarmi in attesa, sul comodino accanto al letto , sulla scrivania, sul tavolo della cucina, sul pianoforte, in terrazza durante un minuto di relax, perfino in bagno…diventano il mio incubo. Quando rientravo in casa mi chiedevo cosa avessero fatto in  mia assenza se avessero fatto baldoria o se avessero soltanto fatto nuove conoscenze con la nuova “bic” o con il nuovo calendario. I mostri nella mia mente mi conducevano a pensieri folli…
Il 6 gennaio pronta per ritornare a Roma, non perché io avessi finito il turno da Befana, ma semplicemente perché terminate le vacanze si ritorna alla quotidianità dell’ufficio, dai meandri piu’ oscuri di casa, un urlo disperato di mia madre raggiunge le mie orecchie e il suo viso riempie i miei occhi, sembra tanto quello del gatto con gli Stivali del film” Shrek”, gli occhioni di chi ha capito che un tizio di una delle tante serie televisive è morto a causa della sua stessa madre, ma resusciterà presto… e l’agenda aperta nella pagina di copertina…: “ma che, nun me scritt a dedic e bon augurji”.

Non ho scritto la dedica?! Non Ho scritto la dedica di buon auspicio! Ecco perché agenda e penna mi seguono.

Sono anni che mia madre segue questo rito. L’agenda spesso è stata trasportata anche a Roma…nulla poteva impedirle di raggiungermi. Dovevo necessariamente inaugurare la prima pagina  della sua agenda con una dedica perché di buon auspicio.

Questo nuovo anno cara mamma ti stupirò, non avrai bisogno di inseguirmi, ecco la tua dedica per la tua nuova agenda.

“Arriva un nuovo anno straniero, ancora, ma non per molto.

Tutto inizia sempre per trasformarsi in qualcosa di diverso, di più grande, di più maestoso.

Tu hai la capacità di creare, di trasformare tutto a tuo piacimento.

Hai la forza propria solo ad una madre.

Hai l’energia della tua terra nel tuo sangue.

Il sole accompagna le tue giornate, ti farà da guida sempre.

A volte potresti essere stanca,  sfinita, ma l’abbraccio dei tuoi nipoti ti darà nuovo vigore.

Non rammaricarti di non aver potuto fare di più, lo hai già fatto.

Non dimenticare mai da dove sei partita e dove sei ora grazie alla sola tua tenacia.

Non rimproverarti di avere due figlie un po’ stronze, due figlie diverse, una dedita alla famiglia, l’altra in balia dei sogni.

Le hai cresciute bene, la vita non è sempre così educata, hai fatto un buon lavoro, faticoso , intenso ma ottimo lavoro.

Nonostante tutto non hai mai mollato e so che non lo farai mai.

Il tuo animo generoso, indistruttibile quanto fragile sarà il tuo punto di forza.

Ti auguro di essere più serena, anche la tua gastrite ne sarà felice.

Non ti chiederò di fare tanti soldi, come in passato, quelli che abbiamo per fortuna ci bastano.

Ti auguro per questo nuovo anno di pensare un po’ più a te, di darti più tempo, più spazio, il tempo perso non ritorna.

Ti auguro di sentirti amata, anche se spesso non ti sarà dimostrato, ma il tuo cuore lo saprà sempre.

Ti auguro di essere sempre orgogliosa di ciò che sei.

Ti auguro di rientrare la sera orgogliosa del tuo operato, e di poggiare leggera la testa sul cuscino.

Ti auguro di non smettere mai di sorridere!

Buon lavoro”.

Raf

o.e.p.s
Don’t forget to smile

ps. In agenda segna che il sabato non lavoro,  Non Chiamarmi all’alba!
ps: ora stampa e incolla almeno non dovrai inseguirmi per tutta casa.

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Il Generale

“Lei è l’emblema della donna moderna…”
Ecco cosa mi ha detto il Generale quella mattina…

Le mie giornate iniziano apparentemente allo stesso modo, ma non quella mattina.
No! Quella mattina profumava di buono.
6.45 Mornig Flower, così la sveglia del mio fantastico Samsung S6 mi comunica che è ora di alzarmi.
Dopo aver stiracchiato bene la schiena, lotto con il cuscino per convincerlo a lasciare la mia faccia. La maggior parte delle volte perdo.
Radio, colazione, doccia, i tre riti (ci sarebbe anche la pipì, ma tralascio) per iniziare alla grande la giornata.
Preparato l’occorrente per l’ufficio ed il pranzo (rigorosamente scongelato la sera prima e preparato dalle sapienti mani di mammà), mi catapulto fuori della porta, con una mano chiudo a chiave, con l’altra pigio il pulsante dell’ascensore che non tarda ad arrivare, un tonfo annuncia la sua presenza al piano.
Per ingannare l’attesa durante il minuto di discesa, mi guardo allo specchio cercando di individuare chi sia la tizia riflessa, in fondo è anche per questo che hanno deciso di mettere degli specchi all’interno degli ascensori, no?
Il narcisismo sovrasta la claustrofobia, così tutto dura il tempo di un respiro, e..tonfo.

Il mio primo buongiorno va al portiere Sergio, che di buon mattino è nelle sue faccende affaccendato. Quella mattina però non era solo, a fargli compagnia c’era il Generale.

Il Generale è un anziano signore, ossatura robusta, pancetta in evidenza, capello brizzolato, uomo del nord, fiero ed orgoglioso di aver dedicato la sua vita all’esercito italiano, la sua andatura e il suo mento alto, il suo modo di gesticolare, ne sono la prova.
Trasferito a Roma per amore è ormai in pensione.
Il Generale cerca di mantenersi sempre in attività soprattutto durante le riunioni di condominio, in cui riesce a zittire tutti, anche nei momenti di caos più totale. Lui è Il Generale tutti sull’attenti!

Prima di allontanarmi lo saluto cordialmente e mi accingo a liberare il mio SH dalla catena, dopo un po’ una voce:
“Signorina!”, seguì una sonora risata, “che gioia lei è l’emblema della donna moderna”.
Fui spiazzata da quelle parole, ad essere sincera, proprio emblema non mi sentivo, ma il Generale mi incuriosì:
“Generale, grazie ma non credo…”, vi confesso, non sapevo cosa volesse dirmi, ma l’ho adorato, mi aveva chiamata “Signorina”.
“Sa signorina, io la osservo, vedo che è in pieno possesso del suo mezzo di locomozione” (che suonava, con il suo accento, “mezo di locomossione”), continuò:
” Ai miei tempi era impossibile vedere una donna guidare o stare a cavalcioni su di una vespetta, sempre entrambe le gambe su un lato… altri tempi, altri tempi, eh… lo si vede da come guida che è affar suo quella roba lì.”
Avreste dovuto vedere il viso del Generale mentre mi diceva queste cose.
I suoi occhi persi nel vuoto stavano attraversando a ritroso il tempo passato, il ricordo di un tempo vissuto ormai lontano. Poi all’improvviso, come il pesce sguizza per catturare la sua preda, il Generale puntò quegli occhi su di me e disse: “Signorina Grazie”.
“Generale, di cosa?”
“Il suo sorriso”.
Accipicchia forse avevo qualcosa nei denti, forse la marmellata di more…
Ecco, sentivo la mia pelle accaldarsi, sentivo le braccia e poi il collo, il viso colorarsi del colore del melograno maturo, imbarazzatissima, non capivo.
“Signorina, il suo sorriso mi regala gioia, mi illumina la giornata, è un soffio di vento fresco, un raggio di sole raggiunge il mio cuore tutte le volte che la vedo sorridere”.
Silenzio.
Il respiro titubante.
Bocca impastata, nessuna parola, nessun suono.
Ero un groviglio di emozioni, ero lusingata, sbalordita…
Un Uomo così apparentemente duro, impostato, dedito a dare ordini, si era soffermato su di un unico particolare, aveva dato attenzione all’impensabile, un sorriso.
Tutte le emozioni stavano prendendo una strada comune, un unico canale.
Si concentrarono in unica goccia piena di gioia, quella lacrima, che non tardò a solcare il mio viso.
…una sintesi perfetta di parole, che sarebbero state inutili e non sufficienti.
Il Generale notò anche quella lacrima e mi disse: “vede avevo ragione lei è proprio un raggio di sole”.
Quella mattina profumava di buono.
Dont’ forget to smile
Raf