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Funambole – Storie alla ricerca di equilibrio 5

“Tutto ciò che deve accadere accadrà” ho constatato che è vero.

Ale e Christian riprendono a frequentarsi e la loro amicizia torna quella di una volta, come se gli anni non fossero mai passati, come se il tempo si fosse fermato 6 anni prima o più.

Ale mi mette al corrente di tutto, ma proprio tutto. Conosco la storia di Christian come se fosse la mia. In questi anni ha lavorato tanto, ha dovuto compiere delle scelte molto importanti per lo sviluppo della sua carriera, sottraendo forse del tempo alla sua vita privata, tanto che la sua compagna, probabilmente stanca, non ha più retto e lo ha mollato per un altro, secondo lui senza motivazione reale…. ma queste cose, lo so per esperienza, hanno sempre una motivazione. Presi da altro a volte non ce ne rendiamo conto, o non vogliamo vedere.

Come per tutti, la vita ti mette davanti a dei bivi, devi percorrere una sola strada quella che ritieni giusta per te, evidentemente il lavoro per lui è stata una priorità.

Ale è entusiasta del rapporto di amicizia che riprende vita, come quello di un tempo. Non c’è giorno che non mi chiami per raccontarmi qualcosa o di un messaggio o di una telefonata o di una condivisione con Christian.

 Non riesco a non essere felice per lei, ma  mi rendo conto che inspiegabilmente ha tirato giù le barriere, i muri che la proteggono e secondo me tutto va troppo veloce.

Cerco di essere razionale e di non farmi coinvolgere dal suo entusiasmo per l’amicizia ritrovata, perchè la manager cazzuta, all’improvviso, diventa una liceale, credo che vada contenuta.

Mi dico che è tutto così assurdo, ma da quanto non la vedevo così…viva”.

In uno dei nostri incontri abituali si chiacchiera ed una sera in un pub con una birra ghiacciata mi dice:

Ale:“Raf, mi rendo conto che è tutto così strano, non sono una stupida, è appena stato lasciato, in più per un altro, il suo ego necessita di essere salvato, io credo che abbia bisogno di qualcuno che lo sostenga”.

Le rispondo: “Perdonami, allora non capisco, perché ti vuoi immolare? Io credo che sia esattamente così, che abbia bisogno di una crocerossina che gli dica quanto è bravo e quanto è bello, perché essere lasciato per un altro non è semplice da affrontare, immagino si ponga un sacco di domande alle quali non sarà mai data una risposta almeno che non chiarisca con la sua ex.”

Ale:“Christian mi ha detto che comunicano tramite w.app, per le ultime cose, affitto, bollette, ma non di altro…”.

Io:“Ah certo, atteggiamento da adulti”.

Ale:“Infatti anche io lo trovo immaturo, ma ognuno si comporta come crede, io non tollero questo tipo di atteggiamento, ma se per loro è corretto nessuno può sindacarlo.”

Rifletto osservando Ale che beve il suo ultimo goccio di birra e poi mi sorride.

“Perché ridi?”, le chiedo,

 Ale con uno sguardo dolce ed ingenuo, totalmente distante dal suo modo di essere mi dice:

“Sei la mia parte razionale, ma a volte è bello lasciarsi trascinare dagli eventi per vedere dove ti conducono”.

Io:”L’importante è non farsi troppo male, o almeno essere consapevoli che lanciandosi da un burrone senza paracadute, qualche danno lo fai”.

Entrambe scoppiamo in una fragorosa risata: “Speriamo di non schiantarci”.

Ale e Christian fanno in modo che i loro incontri diventino sempre più frequenti, e  lo scambio di messaggi e comunicazioni vocali sempre si intensificano. Messaggi che mi lasciano con un punto interrogativo.

Uno in particolare che Ale mi ha inoltrato…

Christian le scrive…“Mi manchi dal tuo ultimo messaggio”.

Con questo non ho avuto più parole, mi sono sentita al centro di qualcosa di strano, un po’ ” Casa nella prateria”, ” Mulino bianco”.. un po’ “diabetico”, zuccheroso, esageratamente finto come in un film che deve coinvolgere il suo pubblico. 

Qualcosa non mi torna.

Il mio compito è quello di ascoltare, cercare di tenere Ale bloccata sulla terra, ma lei ha necessità di vivere questa amicizia come meglio ritiene, nonostante sia consapevole che non sia vita reale, soprattutto per un’età come la nostra, e soprattutto per un’amicizia.

Per un mese o più Ale vive in una vita che secondo me non le appartiene, Christian è “il principe azzurro degli amici” che probabilmente tutti cercano, tutti vorrebbero come amico, ma anche quel tipo di amico ha i suoi difetti e soprattutto non esiste.

Ma quanto sarebbe durato quello strano idillio amicale?

Detto, fatto.

Ale si lascia andare completamente, non ha freni. Vuole vivere questa amicizia, riconquistare il tempo perso.

Una sera mi dice in un messaggio vocale tramite w.app:

“Raf mi va troppo di vederlo, gli dico che passo a trovarlo, credo che lui stasera giochi a calcetto con gli amici, magari dopo al pub passo a salutarlo e poi scappo”.

Le telefono.

“Ale avrai modo di vederlo, non stargli così appiccicata, non è da te, ricorda sempre che sta uscendo da un periodo complicato della sua vita”.

Con voce un po’ stranita, come se le stessi facendo un torto mi dice:

“Ok hai ragione, ma anche lui è così, se si sente di dire o fare qualcosa la fa, senza troppe seghe mentali, ma gli invio un messaggio e vedo se per lui va bene”.

 

“Se qualcosa può andar male, andrà male” avverte il primo assioma della legge di Murphy.

Dopo qualche ora Ale mi chiama spiegandomi che le cose non erano andate come aveva pensato.

Quella sera la parte oscura di Christian viene fuori come un tornado in piena estate. 

Tutto quello che temevo si trasforma in realtà…

La risposta di Christian al messaggio di Ale è dura, secca, si è sentito come se gli mancasse l’aria come se Ale prepotentemente volesse entrare nella sua vita senza chiedere il permesso.

Tutti mi conoscono come una persona calma , pacata, ma sentendo quelle parole…

Cosa?” ma sei matta, tu che irrompi nella sua vita, ma è assurdo, ha fatto tutto lui, dove cazzo stava prima? Ale per favore non devi continuare a giustificarlo, è una testa di cazzo, non puoi permettergli di trattarti in questo modo.”

Ale:”Calmati, lo so hai ragione, ma poi mi ha spiegato, che ha avuto un attimo di sclero”.

 Io:“Ma è una vita che gli dici, che deve recuperare prima la sua vita perché dopo una storia così lunga ha bisogno del suo tempo, e ora viene a dirti che tu vuoi irrompere nella sua vita? Ma è una follia lo capisci?. L’uomo di cui mi hai parlato, questo grande amico intelligente, comprensivo, speciale, dove lo hai nascosto?”.

Ale:”Lo so, hai ragione è un pezzo di merda, ma qualcosa mi dice di stargli vicino, tu sei stata al mio fianco quando la mia storia è finita, tu sei stata li’, ed io ci sono stata per te…non so…”

Mi sono accorta di aver alzato i toni, e l’equilibrio e la consapevolezza di Ale per quello che sta succedendo mi spiazzano, allora cerco di appianare la situazione e le chiedo:

“Ma perché noi donne abbiamo questo istinto materno? Porca paletta ci porta all’autodistruzione, ma tu non sei sua madre, per favore ricordatelo. Ricorda della tua e anche della mia storia”.

 Ale:” Lo so, lo so”.

Dal quel giorno in poi Ale è sempre rientrata nei “ranghi”, ha cercato di non esporsi oltre. Si è tenuta un po’ a distanza. Ha atteso che Christian la cercasse, che fosse lui ad inviare il primo messaggio… ha cercato di non invadere i suoi spazi, ma poi le cose sono andate sempre peggio purtroppo.

Christian ottiene un incarico molto importante, se all’inizio condivide tutti i suoi movimenti con Ale, la coinvolge, la travolge, dopo un po’ sparisce.

Questo tipo di atteggiamento spiazzerebbe qualsiasi persona adulta.

Devo gestire Ale e le sue domande, alle quali purtroppo non so rispondere, vorrei dire di mollare, di lasciare perdere, ma so che non mi avrebbe ascoltata.

Lei sta li’ in attesa, nonostante tutto sta li. Per qualche cavolo di ragione che proprio non riesco a capire.

Incurante della totale assenza di Christian, quando può passa a trovarlo, un saluto ” per far sentire che ci sono” questo mi ha detto.

Non ho mai avuto l’occasione di parlare o di incontrare di persona Christian, ma probabilmente è stato meglio così. Avrei fatto sentire che c’ ero.

Ale inizia ad essere distratta, anche a lavoro. Mi chiama spesso, non sempre posso risponderle, anche io ho un lavoro. Un atteggiamento così freddo, scostante, non riesce proprio a comprenderlo. 

Il tempo inesorabile scorre come un fiume in piena, e proprio come un corso d’acqua frastagliato cambia direzione per continuare a scorrere, così Christian cambia in continuazione le carte in tavola per  continuare a sopravvivere a ciò che lo sta travolgendo e che a mio avviso non sa gestire.

Intanto Ale è ferma, cerca di respirare .

Il sorriso del sole non abbandona mai il suo viso…

To be continued

Raf

Don’t forget to smile

 

 

 

NELLA TASCA DEI MIEI JEANS

Forme. Nate da una nuvola di fumo bianco.

Sono tratti irregolari ma chiarissimi. È una sera di Roma che diventerà notte e la mia sigaretta non vuole saperne di spegnersi. Faccio un tiro mentre Trastevere si fa bella con i suoi mille colori.

Nic è lì, lui c’è sempre. Parliamo di viaggi, vacanze, pensieri sparsi che soltanto gli amici di una vita possono intrecciare. Sono seduto sul mio motorino parcheggiato a due passi da piazza Trilussa, al “Freni e Frizioni” il mojito è un “must”, la mano destra lo porta verso la mia bocca, mentre la sinistra tiene, fedele, la sua marlboro light morbida.

Dietro quelle forme irregolari e bianche c’è lei, con la sua camicetta azzurra. Sorride e si appoggia a Nic come se fosse anche lei dei nostri, tre di due. Sorride. È divertita, curiosa, serena, non finge. Ho sempre pensato che l’unico modo per starle vicino fosse starle a distanza, so quanto possono essere importanti i centimetri.

La chiacchiera scorre veloce assieme alle sigarette, quelle mie e di Nic, lei non fuma. C’è un attimo nella vita di ognuno di noi in cui capisci che qualcosa o qualcuno non è semplicemente lì. Non ricordo nemmeno di cosa stessimo parlando in quel momento, la sue mani appoggiate sulla spalla del mio amico si dividono.

Una, la destra, azzera tutti quei centimetri, scivola lenta dietro la mia schiena senza toccarmi, cerca spazio nella tasca posteriore del mio jeans ed entra con tutto il suo calore. La sua mano nel mio jeans, per qualche minuto, o per sempre. Sorrido, lei non batte ciglio, lo fa come se fosse il gesto più naturale del mondo, conquista territori.

Per un attimo mi fermo a pensare a quegli inutili centimetri e accendo un’altra sigaretta. Fumo, forme, stavolta tutte familiari. Sorrido ancora.

Nic,  superata la mezzanotte, ha l’occhio destro semichiuso e sbadiglia come nessuno, quanto mi fa ridere quell’omone grosso.  Salutiamo. Via, verso via Monte Fumaiolo 44, il mio rifugio. Lei mi segue sul suo motorino, si mette in scia come sa fare lei. Parcheggiamo, in una sera di fine luglio, che ormai  sta diventando notte e saliamo al secondo piano. Entro e nemmeno mi giro a guardarla, ho bisogno di stare scalzo. Tolgo le mie “stadsmith” e vado e rinfrescarmi i piedi, ho bisogno del mio pavimento freddo. Lei è incuriosita dalla mia stanza, vede i miei quadri di Klimt, credo sia un po’ imbarazzata, lo capisco.

“Bevi un limoncello?”.

sorridendo corro a prendere la bottiglia ghiacciata. Parliamo. Beviamo. E appena posso, appena lei si distrae, provo a rubare il suo sguardo. Siamo seduti vicini ma a distanza. Sigaretta. E’ una notte diversa, è una notte di fine luglio. Usciamo, rientriamo, ascoltiamo musica, restiamo distanti, impossibile non farlo. Parliamo e mi immagino lei che sorride mentre si toglie il suo foulard. La tasca del mio jeans fa invidia alla mia polo a strisce blu e rosse, rigorosamente verticali, “sticazzi” che le righe “allargano”. Non ce la faccio.

“Ho bisogno di un tuo abbraccio, adesso”.

Sono le quattro del mattino, ma come fai ad abbracciare in una notte d’estate quel viso così bello? Semplice,  si fa. Lei lo fa. E restiamo così per qualche minuto. Fa caldo. Il tempo si ferma lì, è un attimo scolpito nella mia mente. Non ho più voglia di fumare. Sono le sei del mattino…

“Devo andare”, la notte è finita. Si fida di me…

L’accompagno alla porta e torno dritto verso la stanza di una notte diversa, accendo un’altra sigaretta .

Diversa, unica, irripetibile. Anche lei. Sono felice. Passano venti minuti, il mio telefono si illumina: “Sono a casa”. Lei non lo sa ancora, i fatti spesso dicono il contrario, ma da quella notte non è più andata via. Da casa mia.

Raf

Don’t forget to smile

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Il Generale

“Lei è l’emblema della donna moderna…”
Ecco cosa mi ha detto il Generale quella mattina…

Le mie giornate iniziano apparentemente allo stesso modo, ma non quella mattina.
No! Quella mattina profumava di buono.
6.45 Mornig Flower, così la sveglia del mio fantastico Samsung S6 mi comunica che è ora di alzarmi.
Dopo aver stiracchiato bene la schiena, lotto con il cuscino per convincerlo a lasciare la mia faccia. La maggior parte delle volte perdo.
Radio, colazione, doccia, i tre riti (ci sarebbe anche la pipì, ma tralascio) per iniziare alla grande la giornata.
Preparato l’occorrente per l’ufficio ed il pranzo (rigorosamente scongelato la sera prima e preparato dalle sapienti mani di mammà), mi catapulto fuori della porta, con una mano chiudo a chiave, con l’altra pigio il pulsante dell’ascensore che non tarda ad arrivare, un tonfo annuncia la sua presenza al piano.
Per ingannare l’attesa durante il minuto di discesa, mi guardo allo specchio cercando di individuare chi sia la tizia riflessa, in fondo è anche per questo che hanno deciso di mettere degli specchi all’interno degli ascensori, no?
Il narcisismo sovrasta la claustrofobia, così tutto dura il tempo di un respiro, e..tonfo.

Il mio primo buongiorno va al portiere Sergio, che di buon mattino è nelle sue faccende affaccendato. Quella mattina però non era solo, a fargli compagnia c’era il Generale.

Il Generale è un anziano signore, ossatura robusta, pancetta in evidenza, capello brizzolato, uomo del nord, fiero ed orgoglioso di aver dedicato la sua vita all’esercito italiano, la sua andatura e il suo mento alto, il suo modo di gesticolare, ne sono la prova.
Trasferito a Roma per amore è ormai in pensione.
Il Generale cerca di mantenersi sempre in attività soprattutto durante le riunioni di condominio, in cui riesce a zittire tutti, anche nei momenti di caos più totale. Lui è Il Generale tutti sull’attenti!

Prima di allontanarmi lo saluto cordialmente e mi accingo a liberare il mio SH dalla catena, dopo un po’ una voce:
“Signorina!”, seguì una sonora risata, “che gioia lei è l’emblema della donna moderna”.
Fui spiazzata da quelle parole, ad essere sincera, proprio emblema non mi sentivo, ma il Generale mi incuriosì:
“Generale, grazie ma non credo…”, vi confesso, non sapevo cosa volesse dirmi, ma l’ho adorato, mi aveva chiamata “Signorina”.
“Sa signorina, io la osservo, vedo che è in pieno possesso del suo mezzo di locomozione” (che suonava, con il suo accento, “mezo di locomossione”), continuò:
” Ai miei tempi era impossibile vedere una donna guidare o stare a cavalcioni su di una vespetta, sempre entrambe le gambe su un lato… altri tempi, altri tempi, eh… lo si vede da come guida che è affar suo quella roba lì.”
Avreste dovuto vedere il viso del Generale mentre mi diceva queste cose.
I suoi occhi persi nel vuoto stavano attraversando a ritroso il tempo passato, il ricordo di un tempo vissuto ormai lontano. Poi all’improvviso, come il pesce sguizza per catturare la sua preda, il Generale puntò quegli occhi su di me e disse: “Signorina Grazie”.
“Generale, di cosa?”
“Il suo sorriso”.
Accipicchia forse avevo qualcosa nei denti, forse la marmellata di more…
Ecco, sentivo la mia pelle accaldarsi, sentivo le braccia e poi il collo, il viso colorarsi del colore del melograno maturo, imbarazzatissima, non capivo.
“Signorina, il suo sorriso mi regala gioia, mi illumina la giornata, è un soffio di vento fresco, un raggio di sole raggiunge il mio cuore tutte le volte che la vedo sorridere”.
Silenzio.
Il respiro titubante.
Bocca impastata, nessuna parola, nessun suono.
Ero un groviglio di emozioni, ero lusingata, sbalordita…
Un Uomo così apparentemente duro, impostato, dedito a dare ordini, si era soffermato su di un unico particolare, aveva dato attenzione all’impensabile, un sorriso.
Tutte le emozioni stavano prendendo una strada comune, un unico canale.
Si concentrarono in unica goccia piena di gioia, quella lacrima, che non tardò a solcare il mio viso.
…una sintesi perfetta di parole, che sarebbero state inutili e non sufficienti.
Il Generale notò anche quella lacrima e mi disse: “vede avevo ragione lei è proprio un raggio di sole”.
Quella mattina profumava di buono.
Dont’ forget to smile
Raf